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Ekaterina Mechetina, ventisette saggi sulla musica e sulla vita

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Dal 17 al 29 giugno del 2019, a Mosca e a San Pietroburgo si terrà il XVI Concorso Tchaikovsky. È uno dei più importanti eventi musicali di quest’anno ed è certo uno dei concorsi più importanti e più conosciuti al mondo. In una certa misura, la musica classica è presente nella vita di ogni persona. Sulle pagine del mio sito ne abbiamo parlato con diverse persone importanti in questo campo, tra cui il fondatore dell’Accademia Pianistica d’Imola Maestro Franco Scala, famosi pianisti russi e italiani, maestri di musica, il costruttore di pianoforti a coda Luigi Borgato, il famoso accordatore italiano Aldo Santarpino, cantanti lirici e registi d’opera.

Quest’anno vorrei farvi un regalo. È un progetto che sto sviluppando insieme a Ekaterina Mechetina, bravissima pianista russa, celebre in tutto il mondo. Ekaterina ha cominciato la sua vita concertistica molto presto. Ha vinto vari concorsi internazionali importanti: il “Premio Mozart” (grand prix) di Verona nel 1989, il Ferruccio Busoni (il 5 premio) nel 1995. Ha vinto il primo premio al Concorso di Pinerolo nel 2003, la medaglia d’oro e il primo premio al Concorso di Cincinnati nel 2004. Ha inciso diversi CD, partecipa a numerosi festival musicali ogni anno. Fa circa 70 concerti all’anno e gira con numerose esibizioni in molte città russe e molti Paesi del mondo. Da qualche anno fa il festival musicale “Zeleny shum” a Surgut, dal 2011 fa la parte del Consiglio di Cultura presso il Presidente della Russia, insegna presso la Scuola Centrale Musicale di Mosca e anche presso il Conservatorio Tchaikovsky di Mosca.

Il progetto è questo: ogni due settimane, con l’aiuto di un generatore di parole casuali, Ekaterina sceglierà una di una lista di 27 parole preparata da me e in un breve saggio condividerà con voi i suoi pensieri e ricordi su questo tema. Spero che questi interventi colgano la vostra attenzione perché Ekaterina non solo è una bravissima musicista ma è anche una persona molto interessante e profonda. Sono sicura che i suoi saggi saranno letti con grande interesse sia dai miei numerosi amici musicisti sia dalle persone che sono curiose di saperne di più non solo del mondo musicale in generale ma anche di Ekaterina Mechetina.

Ecco la lista:

Concorso(parte prima, parte seconda, parte terza), Musica, Pianoforte a coda, Scuola Centrale Musical, Shchedrin, Giappone, Aereo, Famiglia, Gatta, Automobile, Mosca, Conservatorio, Sala da Concerto, Ansia, Rachmaninov, Yamaha, Verona, Russia, Italia, Surgut, Mondo, Desiderio, Musicista, Delusione, Successo, Casa, Allievo.

Cominciamo la nostra avventura e aspettiamo di vedere quale di 27 parole verrà scelta per prima. In bocca al lupo a noi con Ekaterina e buona lettura a voi, cari lettori!

Marina Nikolaeva, gennaio 2019

“In principio era la parola e la parola era... pianoforte a coda". Chiedo scusa a tutti i credenti per questa parafrasi cinica, ma per me è stato proprio così. Ero una bimba precoce. Ho imparato a leggere all’età di due anni e un mese con il metodo della "lettura veloce” che era di moda negli anni ’80: schede con le parole “mamma”, “babbo”, “nonna”, “nonno”, “pianoforte a coda”, “violoncello”. La mamma era pianista, il babbo violoncellista. La parola “violoncello” era più facile per me, la identificavo per la sua lunghezza :-) E la parola “pianoforte a coda”…

A casa nostra c'era un pianoforte a coda. Mamma, babbo e io abitavamo tutti e tre in una piccola stanza di cui il quarto inquilino era il pianoforte a coda di mia madre. La sua tastiera praticamente incombeva sopra il letto dei miei genitori. E, sotto lo strumento, c'erano diverse cose per cui non c’era posto nell’armadio. Io usavo alcuni di questi oggetti come giocattoli. Tra l’altro ci stavano dei flaconi di uno shampoo bulgaro alla “Rosa” e all'“Ortica”. Mi piaceva capovolgere questi flaconi come se fossero clessidre, e osservare la piccola bolla d’aria che pigramente si spostava dal basso verso l'alto. Anche la tastiera faceva parte dei giocattoli dei miei lenti e infiniti giorni infantili.

Il pianoforte a coda era vecchio. La sua vernice non brillava più e non era più neanche completamente nero. Qua o là mancavano scheggie di legno e si intravedeva il legno senza la lacca. Era sopravvissuto alla Seconda Guerra Mondiale nascosto in una cantina sconosciuta. Era un Blüthner degli anni ’30. I suoi tasti bianchi non erano di avorio ma di osso. Molti avevano la "carie”, delle macchie scure, e certi anche dei buchetti. Io identificavo ogni nota grazie ai rilievi del tasto perché ciascuno aveva il suo aspetto peculiare. Con questo strumento ho fatto i miei primi passi. Abbiamo passato insieme 10 anni fino a quando, al suo posto, non è arrivato un nuovissimo e brillante Yahama, il mio premio per il grand prix al Concorso di Verona, vinto grazie alle lezioni fatte sul mio vecchio Blüthner.

I pianoforti a coda certo non sono di carne e ossa ma per me non sono neppure "oggetti". Sono i nostri strumenti, strumenti che ci permettono di esprimere un pensiero, un sentimento in modo più preciso, più delicato, più sublime della parola. Grazie alla loro perfetta accordatura, ci ispirano, ci aprono nuovi orizzonti, ci suggeriscono una nuova sonorità.

Possono essere molto diversi e a loro ti devi abituare. Anzi, la capacità più importante per un pianista è proprio essere in grado di "conoscere" un nuovo strumento in pochi minuti. I pianisti non portano con se' i loro strumenti in tournee, come fanno i violinisti.

Ogni produttore di pianoforti ha le sue caratteristiche: Steinway ha un timbro espressivo e canoro, Yamaha ha una tastiera perfettamente regolata e un pedale molto sensibile, Kawai ha un registro acuto brillante, Bösendorfer ha una sonorità tridimensionale. Allo stesso tempo, ognuno di loro è un mondo diverso. E ciascun strumento ha la sua personalità.

Quanti pianoforti a coda ho visto nella mia vita? Credo siano alcune migliaia. Che differenze hanno? Ce ne sono di “comodi” e di “disubbidienti”, di “cupi” e di “rumoreggianti”, di “tesi” e di “leggeri”. E poi i pianoforti a coda possono essere nuovi o vecchi! Pensate ad una automobile. Il pianoforte a coda, al contrario di un violino la cui vita dura dei secoli, più è nuovo, più è facile da "guidare" e più è sicuro. Però uno strumento antico è praticamente una macchina del tempo: è stato suonato dai grandi del passato. Ha un suono diverso rispetto ad uno strumento contemporaneo e super tecnologico perché oggigiorno l’ingegneria pianistica è alta tecnologia, ma nel suono dello strumento antico c’è il fascino dei tempi passati, la nostalgia per il Secolo d’Oro della Musica e dei grandi pianisti del passato.

Il pianoforte a coda e il pianista sono due parti di una un unico essere. Siamo come Centauri, in cui uomo e cavallo non esistono l'uno senza l'altro. Siamo congiunti con questo strumento che nella classificazione scientifica viene chiamato uno “strumento a percussione” e passiamo tutta la vita a cercare di superare la sua natura a percussione e di farlo cantare.

gennaio 2019
la traduzione in italiano di Marina Nikolaeva

La seconda parola è “Italia”. Incredibile, ma questo generatore di parole casuali sa tutte le cose più importanti su di me, praticamente rispettandone l’ordine cronologico.

L’Italia ha fatto “irruzione” nella vita mia come un fulmine da enormi altoparlanti di un sistema audio Panasonic! Mio babbo era un orchestrale. Questo, nel periodo della Unione Sovietica, lo metteva in una posizione privilegiata: aveva la possibilità di andare spesso all’estero, comperare attrezzatura musicale e non solo quella. All’età di quattro anni avevo già le scarpe da ginnastica Adidas, che in quel periodo erano solo un sogno per molti bambini del mio Paese! Come ho già detto nel primo intervento, ho imparato a leggere e a scrivere molto presto ed ero certa che la parola “krossovki”, che in russo significa “scarpe da ginnastica”, si scrivesse “krAsovki”, che nella mia lingua significherebbe solo “scarpe da pavoneggiarsi”. Per questo motivo ero sicura che fossero fatte proprio per pavoneggiarsi, come una modella in passerella.

Invece, non mi interessava affatto come venivano scritti i nomi delle magnifiche scarpette di vernice e dei bellissimi abitini da principessa che i miei mi compravano. Non ero una bambina viziata ma spesso ero vestita da principessa, molto elegante. Nonostante tutta questa attenzione alla esteriorità, però, ero anche una bambina molto ben educata. E questo grazie ai miei genitori.

A sette-otto anni ero la proprietaria di un bel sistema audio e qualche audiocassetta, una con le canzoni di Al Bano e Romina Power e l’altra dei “Ricchi e Poveri”. Ho imparato a memoria i testi di tutte le canzoni. Il fatto che non li capissi non mi impediva di riprodurli in modo molto preciso nel microfono. Il ruolo di microfono era svolto da una bomboletta di lacca per capelli di mia madre! Vedendo il mio riflesso nelle lucide porte dell’armadio, mi sentivo un’artista su un grande palcoscenico. I momenti di canto e di ballo erano di pura felicità. Negli anni successivi non mi è più capitato di cantare ballando, ma mi è sorto un grande interesse per la lingua italiana anche perché, studiando musica, ho imparato molti termini musicali. Tutti i miei amici erano certi della mia ottima conoscenza dell'Italiano quando mi sentivano suonare il pianoforte e cantare il mio repertorio del Bel Paese.

La nostra Scuola Centrale Musicale di Mosca era spesso visitata da ospiti stranieri. Venivano per imparare i metodi del nostro celebre sistema musicale, che faceva crescere molti giovani talenti, e per incontrare questi personalmente. Tra le altre, è arrivata anche una delegazione della televisione italiana per girare il documentario “Una giornata di un allievo della Scuola Centrale Musicale”. Hanno scelto me come una dei migliori. Avevo 10 anni e facevo il quarto anno. La troupe cinematografica mi seguiva a scuola e a casa, con i miei amici, con la mia famiglia: alla lezione di specializzazione, a casa a prendere il the, a giocare a hockey da tavolo con un compagno di classe. In Italia questo documentario fu trasmesso da Canale 5.

Ero entusiasta degli ospiti italiani e dopo la loro partenza li ho disegnati per lungo tempo sui miei quaderni mentre raccontavo episodi della loro visita. Ho chiesto ai miei genitori di comperarmi un manuale di Italiano e lo studiavo diligentemente da sola.

E poi… il destino si sviluppa stranamente. Come dice un proverbio russo, “Non c’e’ male senza bene”. In questa storia, però, il dolore fu catastrofico e pubblico. Alla fine del 1988 in Armenia ci fu un fortissimo terremoto che distrusse completamente le città di Spitak e Leninakan: 25.000 sepolti sotto i palazzi, 514.000 persone rimaste senza case e 140.000 con gravi ferite. Avendo 10 anni io non potevo capire l’orrore di questa tragedia ma il mio primo concerto da solista, preparato insieme alla mia insegnante Tamara Leonidovna Koloss, fu proprio in memoria delle vittime armene. Decidemmo pure che i diciassette rubli guadagnati con questa esibizione fossero dati in beneficienza agli Armeni.

Questa tragedia unì gente di Paesi diversi. Molti contribuirono ad aiutare l'Armenia, che allora faceva parte dell'Unione Sovietica. Su Canale 5, tutti i soldi vinti e raccolti in una delle serate del programma “TeleMike” furono inviati lì. Proprio io fui invitata alla trasmissione di Mike Bongiorno come rappresentante dell'Unione Sovietica per ricevere un assegno simbolico.

Rimasi molto colpita dall’Italia. Era il mio secondo viaggio all’estero perché sei mesi prima ero stata in Bulgaria. Certo, allora non ero particolarmente sensibile all'arte e alle bellezze che mi circondavano. Da bambina tutto mi sembrava naturale, l’arte faceva parte anche del Paese e non sapevo ancora darle particolare valore. Venezia? Sì, era bella ma umida e i canali puzzavano. Il Duomo di Milano? Sì, lo guardavo ma mi interessava molto di più una cagnolina nera chiamata Monica che non capiva neanche una parola di russo. I capolavori architettonici non facevano parte dei miei interessi di bambina. In quel periodo, per me era molto più importante il fatto di essere in Italia, dove si cantavano bellissime canzoni nella lingua più bella del mondo, dove abitava Michele Placido che recitava ne “La Piovra” e che chiamava "cara" la sua “moglie” televisiva, che lo ricambiava con "caro". A 10 anni questo fatto mi affascinava molto. Ad una bambina venuta dall'Unione Sovietica, l’Italia appariva certo un Paese favoloso e inaccessibile. Confesso che le cose che mi colpirono di più furono pennarelli colorati, quaderni con copertine spettacolari, bellissimi portapenne e gomme per cancellare aromatizzate, perché in URSS non c’era nulla di simile.

Comunque, le riprese della trasmissione di Mike Bongiorno andarono bene, suonai due brani e presi un enorme assegno simbolico dalle mani del presentatore, che allora era super popolare. La visita in Italia era andata bene e a questo punto la storia sarebbe dovuta finire. Poco dopo, però, a scuola arrivò dall’Italia una lettera a mio nome. Dentro la busta c’era un invito ad un concorso musicale internazionale per bambini! La lettera però era arrivata troppo tardi. Non avevamo il tempo per mandare tutti i documenti necessari e la videoregistrazione per il concorso. Abbiamo quindi spedito una gentile risposta con la spiegazione della situazione, ringraziando per l’invito. Ma improvvisamente è arrivata un’altra lettera, questa volta dal comitato organizzatore del concorso: “Nessun problema per il ritardo. Abbiamo sentito la tua esibizione alla trasmissione di Mike Bongiorno. Hai superato il turno di qualificazione”. E allora ho dovuto prepararmi per il concorso.

Racconterò nel dettaglio del "premio Mozart” a Verona nel mio intervento dedicato ai concorsi. Ora vi dico solo che lì vinsi il grand prix e diventai la prima bambina sovietica vincitrice di un concorso in un Paese capitalistico. L’Italia, uno dei due Paesi dei miei sogni di bambina, continuava a portarmi fortuna, allegria e non smetteva di arricchire la mia vita di eventi miracolosi.

In Italia sono tornata ancora per qualche tour, qualche concorso, di cui la maggior parte è andata molto bene. A poco a poco ho conosciuto diverse città italiane. Crescendo, ho cominciato a capire i fantastici tesori d’arte di cui e' pieno questo Paese. Molti anni dopo, ritornando a Venezia, sono scoppiata a piangere per la bellezza incredibile di questa città. Mi affascinava anche lo splendore della natura italiana quando andavo in montagna a sciare d’inverno e a camminare d’estate. Tra le regioni più amate ci sono sempre state Toscana e Alto Adige. In questi anni ho imparato meglio la lingua italiana e ora so parlarla. L’Italia è un Paese fondamentale per la mia vita: qua sono iniziati, si sono sviluppati e poi realizzati alcuni progetti importanti, qui ho fatto conoscenze fondamentali che hanno avuto un impatto su tutto il mio percorso.

Amo profondamente e sinceramente questo splendido Paese, la sua gente, la natura, l’arte, la lingua, la musica e la cucina. E dall'Italia mi aspetto sempre nuove incredibili sorprese.

gennaio 2019
la traduzione in italiano di Marina Nikolaeva

Non è un caso che Surgut sia nella nostra lista di parole. Le città della mia vita, per me, sono principalmente due: Surgut e Mosca. Mosca è la mia città natale, dove abito da tutta la vita. Ma anche a Surgut qualcuno è sicuro che sia una concittadina. A Surgut e Lugansk (altra "mia" città) mi hanno sempre considerato una persona locale. E quando vado a Surgut non cerco di negare questo fatto, anzi mi fa molto piace, ne sono orgogliosa.

Vorrei iniziare il mio intervento su Surgut da un fatto molto sorprendente, saputo dagli abitanti di questa città siberiana occidentale. Tutti sanno che questa zona è ricca di petrolio e di gas, e questa località, diventata città nel 1965, si è sviluppata grazie a queste industrie. Ma non tutti sanno che la prima scuola media superiore aperta a Surgut era una scuola di musica. Successivamente, in questa regione, sono state fondate anche scuole di specializzazione.

Non tutti i Moscoviti conoscono bene la geografia del nostro Paese, e spesso credono che Surgut si trovi molto lontano dalla capitale, proprio in fondo alla taiga siberiana. Invece è a una distanza di sole tre ore e mezzo in areo. Ma la città è veramente siberiana, localizzata nella Siberia Occidentale, con un clima drammaticamente continentale: inverno lungo, molto freddo e pieno di neve, ed estate spiacevolmente breve e caldissima. I Siberiani sono persone forti, con uno spirito indomito, abituate alle difficoltà e per questo motivo anche molto amichevoli, ospitali e bonarie. Comunque, il Siberiano non è una nazionalità ma un tipo di carattere.

Nel Circondario Autonomo di Chanty-Mansi, chiamato anche Jugra, abitano due piccole popolazioni indigene, gli Chanty e i Mansi. Hanno una loro propria lingua e cultura. Sono nomadi vissuti lontano dalle grandi città. Abitano negli accampamenti, portano a studiare i loro figli in “continente” con l'elicottero e con lo stesso elicottero tornano a casa per le vacanze. Ma alcuni Chanty e Mansi si sono trasferiti in città. La maggior parte dei componenti della vecchia generazione da me conosciuti è venuta a vivere qua da diverse parti della ex Unione Sovietica, ma per i loro figli Surgut è diventata la loro piccola Patria.

Surgut è situata sulla riva del fiume Ob’, ricco dei buonissimi pesci muxun и chir, ed e' circondata da una vera e propria taiga, da cui d'estate arrivano in città tanti moscerini chiamati dalla gente del posto “moshkA”. Ma io non sono mai stata a Surgut in questo periodo.

La città di Surgut è abbastanza grande ma non vi sono palazzi storici perché fino alla fine degli anni '60 la gente abitava in costruzioni di legno a due piani che sono state sostituite dai palazzi tipici negli anni ’70. Ora, insieme alle abitazioni contemporanee, edifici commerciali e amministrativi danno alla città un aspetto moderno.

Ho conosciuto Surgut grazie al fondo “I nomi nuovi” alla fine degli anni ’90, quando ero studentessa al Conservatorio di Mosca. Negli anni successivi ci sono tornata molte volte con i miei recital. Qua ho trovato molte care amicizie tra i miei colleghi, ma questa città avrebbe potuto essere solo una tappa sulla rotta dei miei concerti se non fosse stato per il festival “Rumore verde”. A questo proposito dovrei ricordare due nomi molto importanti e strettamente collegati al festival: Olga Dmitrievna Piletskaya, la fondatrice e direttrice artistica della filiale di Surgut dei “Nomi nuovi”, e Yakov Semenovich Chernyak, il direttore della Filarmonica di Surgut.

L’idea di un nuovo progetto musicale ci è venuta subito dopo la grande ricostruzione della Filarmonica di Surgut, che era diventata molto bella e moderna. Abbiamo deciso di fare un festival per giovani musicisti ma ci è voluto un po’ di tempo per individuarne la forma. Così è nato il nostro “Rumore”. Yakov Semenovich è diventato il direttore, Olga Dmitrievna la direttrice artistica ed io sono stata nominata la presidente del festival.

Il nome “Rumore verde” mi piace assai. Non l’ho inventato io e devo dire che all’inizio mi aveva anche stupito un po’. Lo sentivo un po’ strano e poco adatto a un festival! Però abbiamo capito subito che era facilemente ricordabile e molto adatto sia al concetto che volevano esprimere con la nostra manifestazione sia al periodo primaverile in cui si svolge, il mese d’aprile. A Surgut c’è ancora tanta neve ma nell’aria si sente già la primavera.

All’apertura del primo festival si è esibito un ensemble di danza popolare di Chanty. Sul palco gli sciamani richiamavano la primavera con i ritmi dei loro tamburelli e il titolo “Rumore verde” viene da allora simbolicamente associato con l’arrivo della nuova stagione. Anche i nostri partecipanti personificano la primavera creativa. Sono giovani artisti, le stelle di domani, presentati al pubblico prima che diventino famosi. Tra di loro ci sono stati Venera Ghimadieva, Lucas Debargue, Alexander Ramm, Zlata Chochieva, Eugenio Rumyantsev, Arseny Tarasevich-Nikolaev, Denis Kirpanev, Aleksey Rubin. La lista potrebbe essere ancora più lunga perché tra i partecipanti ci sono anche dei bambini, le stelle di dopodomani, e i laureati del concorso musicale “Lo Schiaccianoci”. Inoltre ho menzionato solo i musicisti ma il nostro festival coinvolge artisti diversi. Organizziamo serate di balletto, di poesia, di teatro, e incontri con i grandi Maestri che presentano i loro giovani colleghi e gli allievi. A questo proposito, con grande gratitudine ed entusiasmo, ricordo la serata dedicata al leggendario danzatore Vladimir Vasiliev. È stato uno degli eventi più importanti e cari al mio cuore e al nostro pubblico. In sei anni che facciamo il festival, di eventi come questo ce ne sono stati diversi ed è difficile nominarli tutti in un breve intervento.

Ogni anno nel mese di aprile io vado a Surgut e incontro le persone a me care. Ecco perché sono considerata una di loro. E lo sono certamente, perché monto sul palco nel ruolo di padrona di casa e conduttrice, presentando gli ospiti del “Rumore verde” al nostro pubblico! Stiamo organizzando il festival di quest’anno e pensiamo già al prossimo, cercando sempre di seguire il nostro slogan non ufficiale “Meravigliare e regalare la gioia”. “Rumore verde” adesso si svolge in tutta la regione: dalla capitale di Jugra, Chanty-Mansiysk, a Niznevartovsk.

Provo un amore molto speciale per la città di Surgut ed è un amore reciproco. Ogni anno, tutti insieme, “facciamo rumore” chiamando la primavera, rinnovandoci e riempiendo lo spazio intorno a noi con allegre voci primaverili.

febbraio 2019
la traduzione in italiano di Marina Nikolaeva
la foto dal sito ufficiale del festival "Rumore verde"

Parte prima: il “Premio Mozart”

Respiro profondamente prima di iniziare il mio intervento sui concorsi. Questo sarà molto più lungo dei precedenti perché il tema è per me molto emozionante. Ho partecipato a concorsi come concorrente, membro della giuria, maestra dei miei allievi e finalmente come ascoltatrice. I dettagli biografici mi aiutano a spiegarvi meglio la formazione della mia opinione verso questo fenomeno musicale.

Vorrei iniziare dal ruolo di partecipante e raccontare delle competizioni per me più memorabili.

Ho già accennato al mio primo concorso a dieci anni nell’intervento dedicato all’Italia. Ma nel 1978, qualche mese prima della mia nascita, a Mosca si svolse il Concorso internazionale Tchaikovsky e i miei genitori, per scherzo o sul serio, cercarono di calcolare l’anno in cui vi avrei partecipato. Nel 1985 mi iscrissero alla Scuola Centrale Musicale di Mosca. Ogni giorno, passando nei suoi corridoi, vedevo sulle pareti numerose foto di ex allievi, vincitori dei concorsi musicali internazionali e sognavo un giorno di diventare una di loro. In quel periodo, l'espressione “vincitore di un concorso internazionale” aveva ancora molto valore. Questo titolo, irraggiungibile per la maggior parte dei musicisti, apparteneva agli artisti realizzati, sempre molto richiesti. Dei concorsi musicali per bambini nessuno sapeva quasi niente. L’unica eccezione era il concorso radiofonico “Concertino Praga”.

Allora consideravo sempre un concorso come un evento importantissimo, desiderato, per la cui partecipazione bisognava studiare tantissimo e che in caso di successo apriva al vincitore orizzonti straordinari. E, senza dubbio, i vincitori erano i musicisti più meritevoli.

Nel maggio del 1989, grazie ad una serie di coincidenze non casuali, diventai la prima bambina sovietica che aveva partecipato ad un concorso musicale internazionale in un Paese capitalistico, in Italia. Partecipai al viaggio, organizzato da una Fondazione sovietica per Bambini, insieme alla mia mamma. Con noi avevamo solo i biglietti per l’aereo, i passaporti con i visti italiani e i permessi d’uscita temporanea dall'Unione Sovietica, cioè i timbri, una formalità che in quel periodo si faceva insieme al visto. Sapevamo solo qualche parola in lingua straniera. Io avevo appena cominciato ad impararla, invece i mie genitori, vivendo nell'Unione Sovietica, non potevano neanche immaginare che un giorno l'avrebbero usata.

Con noi non avevamo neanche una lira. Dell’albergo di Verona non sapevamo nulla. Chissà come si sentiva la mia mamma in questa strana situazione, nel suo primo viaggio all’estero con una bimba piccola e il minimo di informazioni. Per me questa gita era la terza in un altro Paese e non mi preoccupavo per niente. All’aeroporto di Milano ci aspettava un tassista. Dopo aver scambiato qualche parola straniera, aiutandoci con i gesti, e facendo qualche telefonata, lui ci ha portati nel nostro albergo, a Verona.

E il “Premio Mozart” cominciò. Al concorso partecipavano 12 bambini da 12 diversi Paesi, i più grandi avevano 12 anni e suonavano tutti strumenti diversi. Tutti i due i turni di qualificazione si svolsero in un giorno solo: di mattina i partecipanti suonarono tre brani musicali corti di 5 minuti ciascuno e la giuria ne scelse uno solo da suonare di sera, al gala' finale. Il concorso era organizzato che alla finale suonarono tutti. Ad ogni bimbo gli organizzatori facevano indossare un vestito di scena diverso. Per me avevano preparato una gonna a matita di color bianco e una giacca delicatamente rosa.

Ricordo quella serata come una serie di flash:

… Sono sola dietro le quinte, senza la mamma. Lei mi ascolta dalla sala. Con me c'è solo una interprete. Intorno a noi c’è tanta gente. Sono stanca di aspettare il mio turno. È tardi. A Mosca è mezzanotte. Ed io sono la penultima a suonare.

… Entro sul palcoscenico di un grandissimo teatro, il presentatore dice a lungo qualcosa in italiano e a me dalla paura cominciano a battere i denti, cosa mai avuta prima.

… Il presentatore mi chiede qualcosa, gli squittisco solo un “non capisco” e finalmente mi fanno andare al pianoforte a coda a suonare.

… Tutti i bambini sono sul palcoscenico davanti al pubblico. Aspettiamo i resultati del concorso. Sentiamo “il terzo premio viene… il secondo premio viene… il primo premio viene!”. Non mi hanno nominato. Sono triste, cerco di sorridere ma il piatto che mi hanno dato come souvenir sta per cadere lentamente dalle mie mani.

… All’improvviso si accendono le luci del teatro, viene suonato qualcosa di trionfale e io vedo un cartello di carta con la iscrizione «trenta milioni» e non riesco a reagire subito neanche quando sento il mio nome. Ho un grand prix!

… Dopo suono il bis, vedo i flash dei fotografi, ho nelle mani un piccolo leone pelato, il simbolo del concorso e poi finalmente sono nella nostra camera d’albergo e mi preparo per andare a nanna. All’improvviso comincio a piangere e mi meraviglio di questo mio comportamento. La mamma mi spiega che è tutta colpa della stanchezza e delle emozioni forti. Non possiamo contattare Mosca per dare le nostre splendide notizie. Abbiamo trenta milioni di lire (circa venticinquemila dollari!) ma non abbiamo soldi per le chiamate!

L’indomani siamo tornati a Mosca. Nelle mani avevamo uno striscione con scritto ”trenta milioni” per far capire al mio babbo, venuto a prenderci all’aeroporto, di essere ritornati con la vittoria.

Venticinque mila dollari sono tanti anche oggi, ma negli anni ’90 era una somma inimmaginabile. Non cercavamo neanche di ricalcolarli in rubli perché non aveva senso farlo. Con questo premio il vincitore poteva pagare i suoi studi, ma i miei presso la Scuola Centrale Musicale di Mosca erano gratuiti e non pensavo neanche di andare a studiare all’estero. Non sapevamo cosa fare finche è venuta un’idea di acquistare un nuovo pianoforte a coda! A Mosca in quel periodo non vendevano strumenti di buona qualità e così comprammo un piano Yamaha in Italia che mi fu spedito nel 1992.

A questo punto comincia la seconda parte di questa avventura.

I nostri vicini, una famosa famiglia di artisti, avevano un figlio di tre anni più grande di me, che era mio compagno di giochi. A 14 anni lui si è appassionato di giornalismo e divenne uno dei conduttori di una trasmissione per bambini, molto popolare alla televisione russa. Un giorno lui mi proposi di girare un breve documentario su una mia giornata.

Nel frattempo, il 1 luglio del 1992 furono pubblicate nuove regole doganali: per ogni merce arrivata dall’estero, il proprietario doveva pagare una tassa calcolata come percentuale del prezzo della merce. Il 2 luglio mi è arrivato dall’Italia il mio pianoforte a coda. Tornando a Mosca dalle vacanze, cercavamo di capire come riceverlo perché non avevamo i soldi per pagare quella tassa. Dopo aver parlato con diversi funzionari che cercavano di aiutarci ci siamo trovati nello studio del capo della dogana di Mosca. Lui ha ascoltato la mia storia del concorso dopodiché abbiamo avuto questo dialogo:

- “Ma tu un pianoforte a coda ce l'hai!”

- “E lei come lo sa?”

- “Ieri sera, alla televisione ho visto una trasmissione su di te e ho visto anche il tuo strumento”

- “Ma ha visto quanto è vecchio?”

Dopo qualche secondo mi ha firmato il permesso di ricevere lo strumento senza pagare la tassa e mi ha salutato, augurandomi buona fortuna.

Il mio racconto del “Premio Mozart” è così lungo per tre motivi:

- Ora è raro trovare un piccolo musicista che non abbia vinto un qualche premio ma allora non esistevano concorsi per bambini in URSS e io sono stata la prima a vincere un concorso internazionale;

- è stato il mio primo concorso, ma anche il più memorabile, e mi ha cambiato la vita;

- è stato un evento unico tra i miei concorsi, ed è stato straordinario.

Tutti gli altri sono stati "classici" e di loro racconterò in seguito.

marzo 2019
la traduzione in italiano di Marina Nikolaeva

Parte seconda

Negli anni successivi, ho partecipato a molti concorsi. Il più bello per la sua atmosfera e il più importante per il mio sviluppo è stato il concorso giovanile Chopin, esistente dal 1992. Tra i suoi vincitori ci sono tanti famosissimi pianisti: Daniil Trifonov, Seongjin Cho, Eric Lu, Dmitry Shishkin, Lukas Geniushas, Rem Urasin e molti altri. Chi fin da giovane mostra passione per Chopin riceve dalla sua musica un’ispirazione particolare e un’educazione musicale molto utile per sviluppare i propri mezzi espressivi.

Il più difficile e il più importante è stato però il Concorso Busoni a Bolzano. Avevo 16 anni, ero molto determinata e partecipavo al concorso con una grande passione. Ero la più giovane tra i concorrenti e ho vinto il premio per il miglior studio di Liszt battendo pianisti di trent'anni. Tra i pittoreschi campi alpini e le bellissime montagne di Bolzano, sono riuscita a mantenere una concentrazione incredibile sia mentale sia fisica. Il modo in cui ho preparato questo concorso credo sia ideale per me, sia dal punto di vista degli studi sia del resultato ottenuto. Ho passato tutta l’estate prima del premio Busoni, che si teneva d’agosto, di fronte allo strumento, rifiutando tutti i miei divertimenti preferiti. È stato un vero e proprio regime sportivo: tutto per uno scopo!

Successivamente sono andata al concorso Rubinstein a Tel Aviv, nel mio primo viaggio da sola. Ho passato il primo turno di qualificazione al primo posto, e un giornale pubblicò un articolo intitolato “Una stella solitaria all’orizzonte”. Ma in questo concorso mi sono mancati sia l’esperienza e l'autocontrollo sia il supporto più elementare. Ho fallito al secondo turno, e me ne sono accorta subito durante l'esibizione.

Poi ci sono stati altri concorsi con risultati più o meno buoni, emozionanti e interessanti. Ci sono stati concorsi in cui ho riconosciuto da sola i miei errori, mentre altri mi hanno lasciato solo delle perplessità. “Il suo Chopin non è abbastanza doloroso”,- mi ha detto uno dei membri della giuria dopo la mia esibizione del Concerto No 2 in Fa minore di Chopin, scritto quando Chopin era diciannovenne e innamorato. E di critiche simili ne ho avute abbastanza. C’è stato anche un concorso di cui potrei scrivere un capitolo taggato #metoo, e non è per niente sorprendente che in quella competizione mi abbiano fatto passare solo il primo turno di qualificazione!

Confesso senza vergogna che i concorsi in quanto partecipante non sono stati una fase molto fortunata della mia carriera, anche se sono la vincitrice di sette di essi, in tre dei quali ho preso il primo premio. E le ragioni di ciò sono diverse. Innanzitutto me stessa, i miei nervi. Molti pensano che io sia una persona molto equilibrata dal punto di vista emotivo. Non è proprio così. Per me i concorsi sono sempre stati molto più stressanti dei concerti. Anche gli esami al conservatorio mi facevano lo stesso effetto, perché il confronto e le classifiche sono sempre stati momenti dolorosi e sgradevoli per me. Invece, un concerto è un modo per creare un dialogo libero e aperto con gli ascoltatori.

Ai concorsi c’è sempre una tensione alta e deprimente: sei responsabile di come suoni, ma senza aver nemmeno il diritto a un errore e, spesso, ai turni di qualificazione, anche senza un pubblico. Forse prima di un concorso avrei dovuto parlare con uno psicologo, ma in quel periodo non ne conoscevo la possibilità, e l'unico mio metodo era ricorrere alla mia forza di volontà. Certamente i miei insegnanti mi davano molti consigli preziosi e mi spiegavano come resistere a quella agitazione. Anche la mia grande esperienza concertistica mi era d’aiuto. Ma nonostante ciò, ogni concorso era uno stress incredibile! Il culmine è stata la mia esibizione al secondo turno di qualificazione del Concorso Internazionale Chaikovskiy. Mi sentivo così male che ho dovuto prendere delle pillole per entrare al conservatorio senza provare nausea. Allora, a 25 anni, essendo già solista alla filarmonica di Mosca e avendo fatto numerosi concerti, ho spiegato al mio maestro, Sergey Dorensky, quello che mi succedeva, e insieme abbiamo deciso che non avrei più partecipato a queste battaglie musicali. Presa quella decisione, mi sono sentita subito sollevata e mi si sono liberate tante forze ed energie da indirizzare agli studi dei programmi e dei nuovi concerti. Alla fin fine, a cosa servono i concorsi se non per avere dei concerti?

Quella fase della mia vita a quel punto era conclusa, ma cosa mi ha fatto imparare? A un concorso si può fallire molto facilmente per diversi motivi: nervi, malesseri, piccoli errori casuali durante l’esibizione, ispirazione insufficiente. Cercate voi di suonare con abbastanza ispirazione, senza perdere nulla a livello di qualità, in una situazione più che stressante!

Vincere un concorso per caso è quasi impossibile, perché in ogni caso il vincitore è un artista molto meritevole e sicuro anche se a volte non è la stessa persona che il pubblico preferisce. Tuttavia, un concorso è di per sÈ un processo di selezione soggettivo. I giudizi non possono essere assolutamente obiettivi! Come non c’è modo di obbligare i membri della giuria a votare in tutta onestà e non per altri motivi. Tra coloro che votano ai concorsi ci sono persone oneste, per i quali votare nella maniera più obiettiva possibile è un punto d’onore. Ma ci sono anche gli altri, quelli con priorità diverse. “Trovare e neutralizzare” un rivale pericoloso per liberare la strada ai propri protetti non è mica un mito, è la realtà! Il “pellegrinaggio” dei partecipanti ai concorsi attraverso le numerosi master class dei membri delle giurie è una pratica reale, anzi è praticamente un settore economico nel campo della cultura. Sono una realtà anche i concorsi poco conosciuti e poco importanti, organizzati in qualche bel posto europeo, e venduti insieme a una master class e altri servizi turistici, da cui come ricordo si riportano non i magneti per il frigorifero, ma un premio e il titolo di vincitore.

“Le fabbriche delle stelle” nelle classi di professori famosi, che hanno notevoli liste di allievi vincitori in quanto membri regolari delle giurie più disparate, funzionano molto meglio in questo campo delle lezioni di un musicista bravissimo ma non collegato direttamente a questo business multifunzionale. In queste “fabbriche” vanno a studiare gli allievi "battaglieri", con maggiore motivazione verso la lotta e il successo, e non sempre quelli più originali e creativi, anche se poi molti di loro diventano bravi artisti.

Ma anche il premio del pubblico è un segno importante per gli agenti, per gli organizzatori dei concerti e dei festival. Proprio il pubblico voterà con le gambe e con i portafogli per l'uno o per l’altro artista. Tuttavia, i concorsi sono eventi coinvolgenti e spettacolari e perciò esisteranno sempre. Quindi, se siete un musicista, quanto spesso partecipare ai concorsi dipende dalle vostre possibilità finanziarie e dalle forze fisiche. Ma a volte, i partecipanti abbastanza bravi usano i concorsi anche come un modo di guadagnare. Frequentano i concorsi meno importanti sempre con lo stesso programma e raccolgono premi e denaro.

I concorsi per bambini sono un altro tema molto ampio.

In ogni caso, il concorso non è proprio un’arte e neanche uno sport. Se è un concorso "vero", non manipolato per altre ragioni, per vincere bisogna essere il migliore, ma mooolto meglio di tutti i concorrenti. In ogni altro caso ritorniamo al discorso “come non si può vincere improvvisamente un concorso”. Tuttavia, non tutti i vincitori di concorsi continuano la loro carriera sul palco, come non tutti i perdenti rimangono fuori scena.

Spesso la vittoria è un passo che permette a un musicista di ottenere la possibilità di fare dei concerti e mostrare la propria crescita artistica. Ma se c’è la possibilità di non partecipare ai concorsi, forse è meglio non farlo, come hanno fatto alcuni grandissimi musicisti.

In ogni modo, io credo che ognuno debba intraprendere un percorso individuale che lo porti dove lui, o lei, deve arrivare.

marzo 2019
la traduzione in italiano di Marina Nikolaeva

Se non esistesse la , l'ansia da palcoscenico, tutta la storia delle performance musicali sarebbe differente. Ci sarebbero "stelle" diverse nel firmamento musicale e molte altre non sarebbero così brillanti. La gamma delle personalità degli artisti sarebbe diversa, perché salirebbero facilmente sul palco anche quei musicisti che oggi sono frenati dalla loro intolleranza allo stress, una delle emozioni che è necessario padroneggiare per trasformare lo spazio del palcoscenico in un luogo di creazione.

In russo, però, la parola può significare il movimento delle onde del mare oppure forme diverse di paura, da quella leggera che spinge ad agire fino al panico che blocca ogni reazione.

Ma questa parola ha ancora altri significati interessanti. La può essere un'emozione artistica, cioè uno stato d'animo positivo e propositivo, che porta l'artista a volere salire sul palcoscenico e condividere con il pubblico la sua musica e la sua interpretazione, ma anche un modo di immedesimarsi nell'altro, un tipo di empatia e di compartecipazione. E' poi anche una forma di eccitazione basata sul desiderio di salire sul palcoscenico talmente ben preparati da non rischiare di compromettere con fastidiosi errori l'emozione che si vuole trasmettere al pubblico. E tutto questo senza perdere il "punto culminante" della composizione, come lo chiamava Rachmaninov.

Tutto questo è la .

La non è qualcosa con cui si nasce. O meglio, la da bambino e da adulto sono due sentimenti diversi. Lo sanno bene anche gli allenatori di ginnastica artistica: fino ad una certa età i bambini non hanno paura e perciò sono in grado di fare esercizi di equilibrismo molto difficili senza avere il timore di cadere e farsi male. Sul palcoscenico accade più o meno la stessa cosa: i bimbi non hanno ancora un senso di responsabilità sviluppato e gli eventuali errori vengono affrontati in modo più leggero, sempre che se ne abbiano la percezione. Salire sul palcoscenico è una festa, che implica un bel vestito, l'attenzione degli adulti, i complimenti e gli auguri. Tutto cambia nell'adolescenza. A un certo punto cominci a capire che puoi aver paura. Puoi aver paura di cose concrete (dimenticare la musica, suonare male una parte difficile), oppure di qualcosa di più intangibile: montare sul palcoscenico e andare nel panico, ad esempio.Tutta questa agitazione interiore si manifesta soprattutto prima e durante in concerto.

C'è poi un'ansia che riguarda la valutazione esterna: hai paura di deludere, di tradire la fiducia, di fare una figuraccia, di perdere la reputazione, di attirare delle critiche e così via. Ovviamente, questo tipo di ansia si aggrava prima di un concorso. Per vincere un concorso ci vuole anche un bel po' di fortuna e, se uno ha avuto esperienze sfortunate, l'ansia aumenta. Molto probabilmente, in realtà, questa non sparisce mai del tutto. E in questo caso, se vuoi andare avanti, cominci a cercare dei metodi per superarla.

Io personalmente faccio così. Il primo passo, fondamentale, è studiare molto bene il programma. Se i singoli brani sono già stati suonati varie volte e sono ben chiari in mente, l'ansia viene mantenuta al minimo. Grygory Sokolov crede che quasi la metà del lavoro avvenga dopo la prima esibizione, e sono d'accordo con lui. Dopo aver suonato il programma su un palcoscenico importante, come la sala grande del conservatorio di Mosca, suonarlo ancora diventa più facile. Ma per raggiungere un livello adeguato alla sala importante bisogna esercitarsi sui palchi più piccoli e meno prestigiosi.

Se un solista deve suonare con un'orchestra, poi, difficilmente potrà fare dei concerti "di prova"; in questo caso occorre allora concentrarsi sulle prove con l'orchestra e cercare di immaginare le varie situazioni che possono verificarsi durante il concerto.

Anche le abitudini che precedono il concerto possono aiutare a calmarsi. È importante però non far diventare tali abitudini delle ossessioni perché i concerti migliori nascono spesso dopo che hai speso la giornata in impegni che non riguardano la musica, magari addirittura in qualcosa che ti ha fatto arrabbiare, ti ha sconvolto, come qualche problema grave durante le prove. E tutti conoscono il detto "brutta prova - bel concerto". La spiegazione è semplice: dopo una difficoltà, alle prove il musicista si concentra e per il momento del concerto è psicologicamente pronto.

Dicono che anche l'ansia sia un segno di concentrazione, e in parte è vero. Però, secondo la mia esperienza, nel caso di un programma già studiato molto bene, la concentrazione perde il collegamento diretto con l'ansia e l'esibizione può essere più libera, rilassata: si può improvvisare e sperimentare di più.

Sul palcoscenico, ci può sentire disagio per vari motivi, ad esempio per una luce messa male o per la posizione dello strumento. Per questo, le prove servono non solo a conoscere lo strumento ma anche per ambientarsi nello spazio scenico reale, per regolare tutto ciò che può essere regolato e adattarsi a quello che non può essere modificato.

L'ansia diminuisce man mano che il numero di spettacoli aumenta: più esibizioni hai, più calmo ti senti prima e durante il concerto. Ma se interrompi l'attività di concertista per un po', ci vuole di nuovo tempo, anche se magari non lungo, per rientrare nella "modalità" psicologica del solista.

Anche l'aspetto fisiologico è importante: dormire a sufficienza prima del concerto, mangiare in modo giusto (in modo da non avere sonno), bere una tazza di the caldo prima di salire sul palco. Se nello stomaco hai qualcosa di tiepido, allora il tuo corpo comincia a "pensare" che nel mondo esterno non ci sia pericolo.

Di ricette contro l'ansia ce ne sono molte, incluse quelle mistico-scaramantiche, ma nessuna di esse può garantire un buon risultato in qualsiasi situazione. Ogni artista, anche quello più famoso, deve raggiungere vette a cui non è mai arrivato prima e quindi, affrontandole, dovrà accettare come inevitabile la presenza di una certa dose di paura.

Praticamente, non esiste un artista che non abbia mai provato l'ansia da palcoscenico: ci sono numerose testimonianze e le memorie degli stessi maestri. Ed è proprio per quello che sono maestri: perché sanno superare la paura e uscire dalla sfida vincitori.

agosto 2019
la traduzione in italiano di Marina Nikolaeva

 
 
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