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Cinema Sovietico. Quali film vi tornano in mente quando sentite queste parole e quali emozioni destano in voi? Immagino che le persone della mia generazione, cioè i quarantenni, e quelle delle generazioni precedenti ricordino, oltre ai tanti capolavori che segnarono la storia del cinema, anche una grande quantità di film amati, molti dei quali ancora oggi non hanno perso d’attualità. Fra i miei preferiti c’è pure ‘'Quando Suona il Clavicembalo’’ di Eduard Abàlov, prodotto dalla Mosfilm nel 1966.

Uno studente di giurisprudenza, che con i suoi colleghi adempie al servizio volontario di ‘’druginista’’ o coadiuvante di polizia, arresta una graziosa ‘’speculante’’, ma scortandola in centrale se ne innamora. In realtà la ragazza, innocente vittima di un falso sospetto, è un’ appassionata ammiratrice della musica di Monteverdi, e...

Il film di Abàlov è un piccolo capolavoro: piccolo perché non dura più di 50’ con humour frizzante, bravissimi attori, musica e atmosfera di Mosca dell’epoca, e la bellezza di Marina Gutkòvich nei panni di Tamara, la presunta speculante. Marina è tanto naturalmente appropriata al ruolo ch ‘ è impossibile distogliere da lei lo sguardo: penso che questo film resterà sempre attuale! Tutte le volte che lo vedo provo sempre un immenso piacere.

La Gutkòvich debuttò nel cinema come bambina protagonista, diretta da Vladìmir Gheràsimov nel ruolo di Viérochka dell’indimenticabile film ‘’Ragazzo di Guttaperca’’ del 1957. Venne su, comparendo qua e là in altre pellicole fra cui ‘’Vasilij Sùrikov’’- 1959 di Anatolij Rybakòv; ‘’Accademico di Ascania’’- 1961 di Vladìmir Gheràsimov; ‘’Il Presidente’’- 1964 di Aleksiéj Saltykòv; e ‘’Regata Reale’’ - 1966 di Iurij Ciuliùkin. Tutte parti più o meno brevi in cui adattava sapientemente la sua duttile espressività al carattere del personaggio, vuoi fosse la figlia del grande pittore, vuoi un’agguerrita kolcosiana, vuoi un’ingenua sportiva di un circolo fluviale di canottaggio.

Dopo il ruolo protagonista nel film ‘’Quando Suona il Clavicembalo’’- 1966 e un cameo in ‘’A metà strada per la Luna’’ di Gemma Firsòva – 1968, nello stesso anno apparve diretta da Vieniamin Dòrman nella parte breve, ma incisiva, dell’affascinante cameriera - segretaria tedesca in ‘’Agente Segreto Blunder’’ (film quarto campione d’incassi nel ’69, con 35 milioni di spettatori). Poi uscì dalle scene e di lei non si seppe null’altro; ma coloro che ricordano il film di Abàlov si sono più volte chiesti e tuttora si chiedono quale fine abbia fatto questa giovane e affascinante attrice.

Non avrei mai potuto immaginare che dalla preparazione di un’intervista con Franco Giardino, biologo, fotografo e autore di libri sul paesaggista russo, Silviestr Scedrìn, venisse non solo la risposta ma anche la possibilità d’un incontro inatteso! In una foto datami l’estate scorsa da Franco Giardino per impaginare l’ intervista, alla sinistra del Presidente Emerito della Repubblica Italiana, Giorgio Napolitano, stava Marina Gutkòvich! Non potei lasciarmi sfuggire l’occasione e fui lietissima d’incontrarla: è sempre bella, assai socievole e grazie alla conversazione riportata qui di seguito, finalmente ho saputo.

 

Marina Nikolaeva: Quando mi preparavo al nostro incontro, ho rivisto i film reperibili con la sua partecipazione: in ‘’Ragazzo di Guttaperca’’ era una bambina incredibilmente bella.

Marina Gutkòvich: Grazie Marina! Sinceramente, sono stata sempre molto scettica nei miei riguardi, anche se talvolta non riuscivo male. La sfiducia verso me stessa è il grosso complesso che ha indirizzato un po’ tutta la mia vita.

MN: Lei è una vera moscovita; forse i suoi genitori avevano un qualche rapporto col mondo del cinema? Come le capitò di fare una parte così importante quand’era ancora bambina?

MG: I miei genitori non avevano nessuna relazione col cinema. Cominciò tutto da un équipe della Mosfilm che cercava una bambina per il ruolo di Viera nel film ‘’Ragazzo di Guttaperca’’ tratto dal celebre racconto di Dmitry Grigoròvich. Nel nostro palazzo al Viale dei Giardini, nella stessa scala, viveva un’attrice e forse proprio lei suggerì al regista Ghieràsimov di darmi uno sguardo. Vennero a scuola e mi invitarono alle prove, che furono soddisfacenti tanto da attribuirmi il ruolo della piccola protagonista. Dopo quel film mi furono assegnate partecipazioni brevi a varie pellicole, ma brevi o meno ero entrata in quel mondo e le mie immagini erano sia nella fototeca della Mosfilm, sia in quella degli Studi Gorkij.

MN: Ricorda le sensazioni provate durante le riprese di ‘’Ragazzo di Guttaperca’’? Non aveva paura? Dopotutto, suoi partner erano i famosi attori Andrej Popòv (dal’63 al ’73, Direttore del Teatro dell’Armata Rossa) e Marianna Strijénova, che da poco aveva girato il film ‘’L’assillo’’ nel ruolo di Gemma.

МG: No, non avevo paura! cercavo di darmi da fare al massimo. Il regista Gheràsimov e la direttrice della fotografia Galina Pyschkova erano molto esigenti: quando dovevo piangere, poiché non ci riuscivo, mi mettevano le lacrime di glicerina. Sì, nonostante provassi gran pena, le lacrime vere, proprio, non mi venivano. Ero scontenta; mi sembrava d’essere sempre incapace di fare ciò che chiedeva il regista. Mamma mi seguiva ovunque e le piaceva moltissimo. Nella mio ricordo sono rimasti gli odori della Mosfilm, molto caratteristici: ogni padiglione aveva il suo; negli Studi Gorkij erano completamente diversi! Le riprese di ‘’Ragazzo di Guttaperca’’ si svolsero pure a Leningrado dove girammmo sia negli studi, sia in natura, ma non posso dire che fossi tanto orgogliosa di fare cinema.

МN: Il primo ruolo fu per lei come un gioco, o il rapporto col set fu un fatto serio?

МG: Prendevo le riprese molto sul serio perché sono una persona responsabile.

МN: Come fu il giorno della prima?

МG: Ricordo che mamma era andata da qualche parte, e alla proiezione a teatro ero con mia sorella. Il film mi piacque molto. Alla fine gli attori furono invitati sul palcoscenico, ci applaudirono e la cerimonia si svolse in modo rituale. Ero ancora una bambina, avevo nove, dieci anni, ogni cosa m’incuriosiva: dicevano che il film sarebbe andato a Venezia, ma per una qualche ragione ciò non avvenne.

МN: Quindi niente paura, che bambina disinibita!

МG: No, non temevo, ma mia madre pigliava la cosa molto più seriamente di me! Dopo le riprese mi iscrisse agli ‘’Studi della Parola d’Arte’’ nella Casa del Cinema che allora si trovava presso Piazza della Rivolta. Durante gli anni di frequenza, feci conoscenza con molti degli attori oggi famosi. Anche Kolya Burlyàiev protagonista di ‘’Infanzia di Ivàn’’ di Tarkovskij, Leone d’Oro a Venezia, studiò lì. Non lontano abitava Nikita Mikhalkòv, futuro celeberrimo attore-regista, ‘’Premio Oscar’’ e ‘’Leone d’Oro’’, che pure conoscevo. Bisogna dire che con le riprese avevo un rapporto molto passivo mentre allo studio di declamazione m’impegnavo con gran piacere. Era tutto molto interessante! Ricordo che in scena, alla Casa del Cinema, al concorso annuale lessi Gorkij, le ‘’Favole Italiane’’. A proposito ancora non pensavo all’Italia, ma già leggevo (sorride). Ovviamente fra me e me tremavo di paura in quell’enorme sala piena di spettatori. Riuscii ad avere solo il secondo premio che mi dispiacque tanto da farmi, quella volta, veramente piangere. Fu la mia prima, terribile sconfitta!

MN: A diciott’anni lei recitò da protagonista nel film di Abàlov, ‘’Quando Suona il Clavicembalo’’.

MG: Dopo ’’Ragazzo di Guttaperca’’ le mie foto erano comparse nel catalogo della Mosfilm e mi invitavano continuamente alle prove. Qualche volta mi scritturavano, altre no oppure ero io a rinunciare nel caso si dovesse girare in trasferta. Infatti andavo ancora a scuola. Per il film ‘’Quando suona il Clavicembalo’’ mi invitarono alle riprese fotografiche, poi si passò ai provini cinematografici, a seguito dei quali Eduard Abàlov mi scritturò, dicendo: ‘’mi ricordi Natascia di Guerra e Pace’’. Abàlov era veramente in gamba, portava avanti il film realisticamente, in modo naturale.

MN: Marina, lei è davvero brava in questo film, è spontanea! In tutta sincerità pensavo che già frequentasse l’Università Panrussa di Cinema. Quali sono i suoi ricordi degli attori durante le riprese?

МG: In scena lavoravo soprattutto con Evghiénij Stieblòv, già coprotagonista insieme a Mikhalkòv in un film di gran successo: ‘’Vado a Spasso per Mosca’’. Degli altri, conoscevo bene Ghiennàdij Jalòvich che mi presentò a Ghieòrghij Epifànziev, entrambi già noti attori di cinema e futuri celebri attori di prosa. In quel periodo leggevo moltissimo: amavo molto Ray Bradbury e Robert Shekly allorché ai miei amici venne la formidabile idea di aprire un teatro di fantascienza, che m’intrigava molto. Vidi la prima volta il film ‘’Quando Suona il Clavicembalo’’ molti anni dopo le riprese!

MN: E che effetto le fece?

MG: Grande; non potevo credere che fossi io. Ho sempre avuto il terrore della falsità e non sopporto l’affettazione: ve ne sono in abbondanza nei film americani; nei sovietici ve n’erano spesso, e anche adesso i Russi non si risparmiano, ma Abàlov a tal proposito ebbe un risultato meraviglioso.

Ai film di allora bisogna aggiungere ancora ‘’Un Giorno Caldo’’, un lavoro di diploma dell’ Università del Cinema nel quale recitai insieme alla nota Natàlja Zòrina, della quale divenni molto amica; poi si sposò e se ne andò a Parigi.

Nel ’69 fui protagonista di ‘’Frantìkha’’, un film interessante cui partecipava anche Natàlja Klìmova, che allora aveva già recitato nella celebre pellicola ‘’Iperboloide dell’Ingegnere Garin’’. I costumi per ‘’Frantìkha’’ erano dello stilista Viaceslav Zàitsiev. Con noi lavorava un giovane attore, mi sembra greco, molto bello. Era un film a colori, sperimentale, prodotto dalla Mosfilm per la televisione francese, che il celebre e pluripremiato direttore della fotografia Fjòdor Pròvorov girava come regista. Di questo lavoro, oggi irreperibile in Russia, m’è rimasta soltanto una foto in bianco e nero.

Nel periodo delle riprese mi dedicarono la copertina dell’allora nota rivista internazionale ‘’Soviet Woman’’ (in edizione danese: FAKTA), grazie alla quale dei lontani parenti, ch’erano emigrati in Danimarca prima della Rivoluzione, mi rintracciarono e vennero a trovarmi.

Non so con che titolo il film uscì in Francia: dopo la mia partenza dall’Unione Sovietica non ne ebbi più alcuna notizia.

Nel 1970 fu la volta del Tagikistan, a Samarcanda, in un film prodotto dalla Tagìk di cui non ricordo il nome. La mia eroina anche cantava. Era una pellicola a colori molto piacevole. Recitavo per così dire, in un ruolo che bene o male mi vedeva protagonista.

МN: E il desiderio di frequentare l’Istituto d’Arte Cinematografica? Mi sembra che dopo il film di Abàlov già ci pensasse.

MG: Ci pensavo ma poi improvvisamente mi mancò il coraggio: volli pensarci ancora un po’! Tutti i miei amici del cinema dicevano ‘’sicuramente ci riuscirai’’, ma non mi persuasero; avevo tante cose per la testa, fra l’altro di dedicarmi allo studio delle lingue straniere anche se, quando ti trovi sul set il desiderio di fare l’attrice viene in modo automatico. Mi ripetevano ‘’segui la tua strada, iscriviti all’Accademia, resta nel cinema’’; invece m’innamorai e mi sposai, per cui l’ingresso all’Accademia del Cinema non avvenne.

MN: Come conobbe il suo futuro marito, Franco Giardino?

MG: Franco per titolo è biologo, ma si è sempre interessato, anche professionalmente di Fotografia e di Psicologia dell’Arte. Ci conoscemmo nell’Ambasciata Sovietica in Polonia dove lui si trovava per un reportage sui campi di sterminio. Così cominciò la nostra storia e ci sposammo a Mosca; dopodiché lo seguii a Napoli. Amo Napoli! Mi piacque molto sin dai primi giorni con tutte le sue contraddizioni.

MN: Marina, si dice che Napoli sia una città poco tranquilla e in un certo senso pericolosa; come era allora e come è oggi?

MG: Nei primi tempi mi trovavo sempre un po’ fra le nuvole quando giravo per le strade. Mi ‘’scipparono’’ tre volte la borsa e altrettante l’orologio: ‘’città di banditi’’, tuttavia pur spaventandomi m’interessava tanto. Roma dove vivo adesso è un posto unico al mondo, magnifico museo non solo all’aria aperta, d’arte e di storia, ma a me piace più Napoli: vi ho trascorso quasi venticinque anni. E’ incredibilmente bella e difficile, perciò davvero affascinante; devi sentirla per amarla. La difendo sempre da chi la disprezza.

MN: Marina, quali furono le sue impressioni quando arrivò in Italia?

MG: Molto buone. Vivevamo in una vecchia villa, in un posto al limite fra passati splendori e moderna povertà. Nell’edificio c’era pure un Centro di Cultura Cinematografica, fondato e diretto da Franco col sostegno dello storico del cinema, Antonio Napolitano, del noto penalista e critico, Vincenzo Siniscalchi, e di Enzo Mazzeo, un ingegnere fotografo, entusiasta della Settima Arte. Nel Centro passarono registi famosi della vecchia generazione, come René Clair, oltre agli allora giovani Silvano Agosti e Marco Bellocchio. Tinto Brass presentò in anteprima, il film antinazista ‘’Salon Kitty’’. Fu nostro ospite anche Malcolm Mc Dowell, protagonista di ‘’Arancia Meccanica’’ di Stanley Kubrik.

Il padre di Franco era un noto professore universitario, chirurgo maxillo-facciale, e direttore di clinica; erano stati fra i suoi clienti il primo Presidente della Repubblica Italiana, Enrico De Nicola come pure il filosofo Benedetto Croce, lo Scià di Persia e una celebre stella di Hollywood, Jennifer Jones. Sofia Bakùnina – Caccioppoli, figlia del grande rivoluzionario, Mikhail Bakùnin, anch’ ella era stata cliente di mio suocero ma soprattutto riconoscente amica. Infatti durante una visita a Napoli di Adolf Hitler, il di lei primogenito, geniale matematico, avendo intonato la ‘’Marsigliese’’ in segno di protesta in un pubblico locale, fu arrestato dai fascisti e internato in manicomio. Il padre di Franco con le sue amicizie fra i professori di medicina, gli aveva evitato un reale impazzimento in quell’ambiente ed era finito, anche lui, schedato dal regime. Quando giunsi in Italia era ancora vivo il secondogenito della Bakunina, presidente di Corte di Cassazione, del quale con Franco eravamo molto amici. Spesso andavamo a trovarlo a Sorrento e ci divertivamo tanto a parlare in Russo.

Per gestire le attività culturali riguardanti in seguito anche i libri sulla pittura, se ne andò molto dei nostri risparmi e negli anni Novanta, la grave crisi della sanità, rese assai gravosa l’ulteriore gestione del laboratorio biochimico, tanto che dovemmo chiudere e pensare a un trasferimento a Roma.

MN: Quando vivevate a Napoli, venivate spesso in Russia?

MG: Amavamo andare a Mosca in treno. Allora esisteva una carrozza sovietica da Roma, tre volte la settimana. Con un sacco di cose e di regali salivamo sul treno a Napoli, e a Roma trasbordavamo per proseguire allegramente, facendo molte conoscenze lungo la via con i viaggiatori più improbabili. Nei tre giorni per arrivare a destinazione, Il treno sostava a Zagabria tanto a lungo da consentirci di passeggiare e andare comodamente al museo e al ristorante in quella bella città. L’indomani, pure a Budapest si poteva passeggiare un bel po’ perché la carrozza sovietica restava in stazione sei ore proprio in pieno giorno: erano tempi meravigliosi!

Anche andare a Mosca in automobile era bello. Facevamo tutti gli itinerari possibili, dai più brevi, di circa 3300 km (attraverso Austria, Ungheria o attraverso Cecoslovacchia, Polonia e Bielorussia), ai più lunghi, di circa 4500 km (attraverso Germania, Danimarca, Svezia fino alla Finlandia, dopo aver navigato il Baltico per raggiungere Leningrado e poi la Capitale). Ci conoscevano tutti i doganieri del lato europeo dell’Unione Sovietica! I viaggi si svolgevano d’estate e d’autunno; ma una volta iniziammo il ritorno da Mosca a gennaio, alle Gelate dell’Epifania, con quasi 30°C sottozero e attraversammo Russia, Bielorussia e Polonia in un paesaggio tutto bianco. Un’altra volta, ricordo i trenta gradi all’ombra di Vienna, al Museo Belvedere senz’aria condizionata, fra i quadri espressionistici di Schiele e i paesaggi napoletani di Rebel. Era l’inizio dell’autunno quando, tornando da Borodino, percorremmo il cammino della disastrosa ritirata di Napoleone fino al passaggio della Berezina. Nel sud della Polonia, sostammo ad Auschwitz per mostrare ad Andrey ch’era ancora un bambino, gli orrori del nazifascismo.

MN: Suo figlio Andrey scrive benissimo in Russo e parla in modo fenomenale. Voglio dire che lei è stata bravissima! Conosco molte famiglie miste dove la madre è russa e il padre è italiano e so bene quanta fatica costi alla mamma far sì che il figlio, vivendo in Italia, padroneggi il Russo come l’Italiano.

MG: Andrey, addirittura posso dire che forse sia un tantino più russo. Il primo libro in lingua che gli consigliai di leggere fu ‘’Il Maestro e Margherita’’ di Bulgàkov, mio preferito, sempre sul comodino. Andrey lo lesse e veramente gli piacque. Poi fu la volta di Dostojeskij con‘’Fratelli Karamàzov’’, altro mio preferito.

MN: Vale a dire che l’ha iniziato alla grande letteratura russa.

MG: Sì, e poi spesso a Mosca trascorrevamo molto tempo con mia madre o con mio padre, appassionato bibliofilo, e con mia sorella. Una volta all’anno, mamma veniva a Napoli e lei pure si dava molto da fare perché Andrey imparasse bene il Russo.

MN: Che lingua parlava con Franco quando vi conosceste?

MG: L’Inglese e poi abbastanza presto imparai l’Italiano. Si dice che le donne slave siano molto versate all’apprendimento delle lingue!

MN: Dopo il trasferimento a Napoli non ebbe il desiderio di studiare all’Accademia di Cinema e continuare in Italia la carriera?

MG: No, sotto questo profilo Napoli è stata sempre un po’ a parte: la vita cinematografica si svolge tutta a Roma e poi abbastanza presto nacque Andrey e io dovetti occuparmi di lui oltre ad aiutare Franco in laboratorio.

MN: Con i vostri amici e colleghi del cinema sovietico, avete mantenuto contatti in tutto questo tempo?

MG: Allora era raro che venissero in Italia. Qualche volta ci venne a trovare Sviatoslav Belza, star culturale della televisione russa, amico molto vicino a me e alla mia famiglia. Mio buon amico era anche l’attore Tòlia Romàscin (“Partitura Incompleta per Pianola Meccanica” di N. Mikhakov); la sua sventurata fine è stata una vera tragedia.

MN: Marina, suo marito ha scritto un libro sul celebre paesista Russo, Silviestr Scedrìn. In che misura lei ha collaborato in tutti questi anni alla ricerca dei materiali e allo studio dei documenti?

MG: Aiutavo Franco nella traduzione dei testi e dei documenti russi, in special modo quelli scritti nell’Ottocento, in cui molte parole e modi di dire sono incomprensibili per gli stranieri. Gli davo il ‘’la’’, chiarendogli come li avessi intesi io. Certamente in Italiano non traducevo nulla e non l’avrei potuto fare come è capace una persona di lingua madre.

Un tempo m’intrigavano le traduzioni; cominciai a tradurre in Russo “La Vita Davanti a Sé ” di Gary Romain, per il teatro, a Mosca, di Galìna Vòlciek. Volevo convincerla a mettere in scena questo lavoro ancora non pubblicato in Russia. Magnifico libro! Non piango mai, ma, leggendolo, piansi.

MN: Qual’è il ricordo che le ha lasciato Mosca della sua gioventù?

MG: Da quei tempi Mosca è molto cambiata. Conosco bene il mio pezzetto di Mosca al Boulevard dei Giardini dove sono nata; conosco la Mosfilm, gli Studi Gorkij e Piazza della Rivolta nei cui pressi erano i corsi di declamazione artistica. Non conosco tutta la sconfinata città e amo soltanto ciò che conosco. È diventata grandiosa; quando arrivo corro subito al Giardino Ermitage ch’ è molto cambiato ma al tempo stesso è rimasto uguale. Mi portavano là da bambina: c’era il teatro, i giardinetti con le panchine, i chioschi, i gelati e l’acqua gasata. Di quella Mosca poco è rimasto; adesso è tutta un’altra realtà: una città bellissima non somigliante ad alcuna delle città europee. Mi manca molto! Più d’un anno di seguito non riesco a vivere in Italia. Scedrìn, seguendo l’esempio di Prosérpina che si divideva fra Olimpo e Ade, avrebbe voluto vivere ogni anno sei mesi a Roma e i rimanenti a Napoli: A me, invece, piace correre a Mosca più che in nessun altro posto. Se non avessi impegni, vorrei vivere mezz’anno qui e mezz’anno in Italia.

МN: Quando viene a Mosca, come vi trascorre il tempo? Si capisce che viene qui a trovare sua sorella, le amiche, i parenti, ma può darsi che vada anche al teatro...

MG: Quand’era vivo Slava Belza, andavamo a teatro, ai balletti al Bolscioi o al Palazzo dei Congressi, ma ciò accadeva, ahimè, in un’altra vita.

МN: Il desiderio di tornare a vivere a Mosca non le è mai venuto?

МG: Eccome, ma adesso, dopo tanti anni in un altro clima, m’è difficile sopportare il rigido inverno: il ghiaccio a terra mi fa paura. Tuttavia quando sono a Mosca non mi va di partire! Qui c’è molto di ciò che m’è caro; qui sono me stessa e, nonostante abbia trascorso due terzi di vita in Italia, ho molta nostalgia.

МN: Se fosse rimasta in Unione Sovietica dove sarebbe andata a studiare? Sarebbe divenuta un’attrice teatrale o di cinema?

МG: Sarei andata all’Accademia d’Arte Drammatica e mi sarei senz’altro perfezionata come attrice cinematografica. Ora non ho alcun dubbio: avevo le carte in regola; me lo dicevano tutti i registi che conoscevo. L’Accademia mi avrebbe affinata, mi avrebbe tolto le incertezze, le asperità. Avevo sempre proposte di lavoro e prima o poi qualche ruolo importante sarebbe capitato, ma mi sposai e me ne andai. Quando siamo giovani, non riflettiamo troppo, viviamo di emozioni. Da un lato, mi dicevano:“Cosa stai facendo? Non devi andartene!” Dall’altro, dopo tanti anni, qualche rimpianto di non essere rimasta e di non avere continuato a fare film, ancora c’è. Ero molto giovane; avevo incertezze e timori, ma ora capisco ch’era completamente normale a quell’età quando talvolta anche succede che qualcuno, senza pensarci, dica cose sgradevoli e te la prendi a cuore, diventando ancora più complessata. La vita è andata com’è andata: non c’è nulla da fare! poi tutto cambia quando nascono i figli e, in fin dei conti, non ho alcun pentimento.

 

Marina Nikolaeva/Mosca, settembre 2019
la traduzione in italiano di Franco Giardino

Le foto da film che illustrano l’intervista sono tratte da fonti di pubblico dominio

 
 
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