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"Perche' a un musicista/artista serve il pubblico?

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L'idea di questa intervista fatta di una sola domanda e' nata all'improvviso da una conversazione con una signora russa in cui abbiamo parlato di musica e del ruolo del pubblico nella vita di un artista. Una domanda semplice ma nello stesso momento molto filosofica, profonda e interessante: "Perche' a un musicista/artista serve il pubblico?"

Nella nostra conversazione, la signora ed io abbiamo parlato solo di pianisti, ma a partecipare a questa discussione ho deciso di invitare anche altre persone la cui vita e' collegata alla musica e al teatro lirico.

Vorrei ringraziare Carlo Colombara, Serenella Gragnani, Roberto Giordano, Ekaterina Mecetina, Giancarlo Monsalve, Mattia Campetti, Federico Nicoletta, Fabio Menchetti, Federico Favali e Francesco Grano per aver accettato subito e con piacere la mia proposta, per la gentilezza dimostrata e per le risposte cosi' diverse, sincere e profonde. Secondo me il risultato e' bello e imprevisto!

Marina Nikolaeva, settembre 2015

 

"Il pubblico serve ai cantanti perché sarebbe triste cantare solo per se stessi no? Abbiamo bisogno ritrasmettere emozioni giusto?
Di conseguenza il cantante serve al pubblico per emozionarlo, per fargli passare una serata di gioia…possibilmente"

 

(Carlo Colombara, cantante lirico)

"Non credo di poter parlare per gli altri, posso soltanto dirti perchè per me è fondamentale il pubblico. Ti rispondo come scrittrice ma anche come creatrice di spettacoli.

Per me l'arte è il miglior modo che ho di esprimermi professionalmente. Per parlare con i miei amici, per dare voce alla mia anima privatamente non ho bisogno di questo mezzo. Non scrivo mai soltanto per me stessa o faccio una regia per mio esclusivo divertimento.

Ho delle cose da dire (in maniera più o meno buona non importa) e ho trovato nell'arte il mio modo per farlo. Quindi per me è importantissimo, fondamentale avere qualcuno che mi ascolti.

Certo, quando scrivo o costruisco uno spettacolo mi diverto anche e mi piace moltissimo. Ma non lo farei mai soltanto per me, per un bisogno personale. Per quello preferisco altre cose...da quelle che potrei dirti a quelle un pò a luci rosse!!! Naturalmente scherzo ma...non troppo!"

(Serenella Gragnani, scrittrice, regista d'opera)

"Il pubblico è necessario alla musica come all'artista, non soltanto in termini di fruizione e consumo, ma soprattutto per giustificarne l'esistenza.
La musica è un'arte sempre nascente.
A differenza di un'opera d'arte figurativa, che è stata creata dall'artista ed esiste per sempre nella sua stessa forma, la musica esiste solo per il tempo in cui essa è prodotta, suonata, eseguita dal musicista. Il momento in cui la musica viene creata diventa magico, quasi sacro, quando si suona per un pubblico che ascolta; un momento unico, che esiste in un arco temporale irripetibile, riempito dalla musica, ma ancor più dalle emozioni del pubblico, generate dalla musica. La condivisione di questo momento con il pubblico è la ragion d'essere dell'artista e della musica stessa, nonché il modo più semplice per vincere le tensioni del palco.
Senza pubblico la musica non ha vita."

(Roberto Giordano, pianista)

"Qualche pensiero sul pubblico.

Il pubblico e' un mostro con molte facce che si aspetta spettacoli grandiosi oppure e' un amico a cui riferisci il tuo messaggio personale d'artista?

Il pubblico cambia con la crescita dell'artista. All'inizio, quando sul palco esce un bimbo, il pubblico si commuove, gli perdona piccoli errori e, se lui ha veramente talento, si incanta. Invece per il bimbo, fino a una certa eta', non esiste la questione del rapporto reciproco tra lui e il pubblico. Lui semplicemente esce sul palco e suona. Se il bambino e' di talento, suonare gli porta allegria, se no allora puo' diventare anche una battaglia contro se stesso.

Poi, nel periodo dell'adolescenza, al giovane artista viene il senso della riflessione, della consapevolezza degli errori, di se stesso e dei suoi insuccessi. Proprio in questo momento il ragazzo capisce che cos'e' l'ansia da palcoscenico e questa sensazione puo' essere improvvisa e travolgente! Il pubblico per lui comincia a personalizzarsi. A volte e' costituito dai membri di una giuria e, in questo caso, la preoccupazione dell'artista e' forte perche' viene ascoltato da professionisti che sanno molto piu' di lui.

Il bimbo diventa adulto e sviluppa la consapevolezza della sua presenza sul palco. Se e' fortunato da avere abbastanza esibizioni, l'esperienza lo aiuta ad abituarsi e a trovare un modo per essere tranquillo in scena. E, ancora piu' importante, lo aiuta ad imparare a "stare" sul palcoscenico e a creare la sua specifica fisionomia d'artista. Come uscire? Come fare l'inchino? Come preparare se stesso e il proprio pubblico per il primo suono? Quali pause fare tra le opere oppure tra i pezzi musicali? Questo e' un lavoro di preparazione e crescita che il giovane musicista deve condividere con il suo maestro.

Poi il bambino compie 16-18 anni e deve suonare ormai da grande. E' il periodo piu' difficile. E' il momento in cui il bambino prodigio diventa un artista maturo. Pian piano arrivano anche gli ammiratori. Il cognome dell'artista diventa "il nome" e questo processo e' lungo e non facile.

Per me e' sempre stata importantissima la massima onesta' al momento dell'uscita sul palcoscenico. La nostra e' un'arte che si esprime sul momento. Qualcosa puo' andar male, e sono rarissimi i concerti in cui sei soddisfatto proprio di tutto. Ma e' molto importante non permettersi mai di suonare "cosi' cosi'". Non sai mai chi ti ascolta in quel momento. Mai. In sala possono esserci persone inaspettate. Conosco bene questa situazione perche' diverse volte mi e' successo di essere ai concerti di giovani musicisti. Loro non sapevano della mia presenza in sala e avreste dovuto vedere i loro volti quando sono andata a fare loro i complimenti alla fine del concerto! Ed e' vero anche viceversa. Sapere prima del concerto che in sala si trova una certa persona, e soprattutto che questa persona e' in grado di giudicarti, e' una prova seria.

Mi piace suonare per le persone "vere" che sono in sala. Ho cari amici che vengono a tutti i miei concerti. Tra di loro ci sono sia musicisti sia non musicisti e io suono per loro perche' so che provano molta gioia durante il concerto.

Ci sono dei momenti in cui entri in risonanza con la sala e ne viene fuori un silenzio fantastico. Sembra che nessuno respiri. Questi sono momenti di felicita'. Piu' dai suonando piu' e' importante recuperare le energie alla fine del concerto: applausi e inchini ti danno energia. La comunicazione con il pubblico dopo il concerto, dietro le quinte, e' importantissima! Spesso la gente non va dall'artista dopo il concerto perche' si vergogna. Pensa che disturbarlo sia poco gentile. Non e cosi'! Per l'artista e' importantissimo avere anche questo rapporto con il proprio pubblico! L'artista si ricarica di forza ed energia per i prossimi concerti. Nulla e' piu' triste della solitudine dopo un concerto suonato in un Paese lontano dove nessuno ti conosce, non c'e' la tradizione di parlare con l'artista dopo la sua esibizione e si finisce per cenare da soli.

La mia strada artistica non e' stata fulminea, e l'interesse verso di me e' aumentato piano piano con ogni nuova esibizione. A volte pero' succede in modo diverso, soprattutto ai concorsi musicali.

Io amo la gente e mi piace parlare con le persone, percio' spesso vado agli incontri con il pubblico e faccio masterclass. A volte anche presento concerti. Questo aiuta molto a creare un rapporto sentimentale con il pubblico, soprattutto alla periferia del nostro Paese."

(Ekaterina Mecetina, pianista russa)

"Questa domanda rivoltami da Marina Nikolaeva, che ringrazio per avermi incluso in questo “confronto” su di un tema cosi’ interessante, ha generato immediatamente la nascita di diversi pensieri che pur rispondendo solo in maniera indiretta al quesito, mi hanno comunque aiutato molto a riflettere sul rapporto artista/pubblico.

Cio’ che e’ nato da questa riflessione e’ stata una sorta di rovesciamento della domanda e, conseguentemente, della risposta: sono sempre piu’ convinto che al pubblico serva l’artista.

Dico questo non per mettere l’artista su di un piedistallo, per porlo in una situazione di privilegio, ma per sottolineare quanto ci sia bisogno di arte che si manifesti concretamente nella vita delle persone, non solo come individui ma anche come collettivita’. Soprattutto oggi, la fruizione della musica avviene in ambito privato, strettamente individuale: i mezzi di diffusione che utilizziamo per il suo ascolto (televisione, radio, internet e incisioni discografiche) si rivolgono normalmente ad un uditorio composto dal singolo. Io stesso ne sono un forte rappresentante. Fin dalla mia adolescenza ho passato un numero incalcolabile di ore ascoltando musica: ho ascoltato i capolavori della musica classica con partitura alla mano (direi quindi un ascolto consapevole e “professionale”), distrattamente accendendo la radio (e quindi rimanendo sorpreso e affascinato da musiche che fino ad un istante prima ignoravo), e ancora oggi utilizzo entrambi i sistemi uniti a quello della rete, che permette di selezionare molto piu’ dettagliatamente o quantomeno di reperire piu’ materiale.

Tutto questo ha avuto un peso enorme sulla mia formazione musicale e, se oggi sono il musicista che sono, molto lo devo a queste ore passate in compagnia della musica, al di la’ di ogni insegnamento accademico o minuto passato sullo strumento.
Questa lunga premessa pone le basi per mostrare quanto l’individuo abbia bisogna di arte, quanto debba soddisfare questa voglia di bellezza e fame che lo divora. Io stesso, nella mia dimensione privata, sono stato prima di tutto uditorio (o pubblico singolo). Questo mio atteggiamento credo sia molto condiviso da appassionati di musica ma a mio avviso, esiste poi un livello diverso, che e’ quello della condivisione e della dimensione dal vivo. L’esecuzione “live” non e’ solo il momento in cui condivido la mia esperienza di ascolto con altri individui sconosciuti uniti dallo stesso interesse, ma e’ soprattutto il momento in cui tocco veramente la materia di cui la musica e’ fatta: suono, silenzio, respiro, vibrazione. Tutto questo, per quanto altamente definito nelle moderne incisioni, ha un fascino impareggiabile nel concerto (se l’esecutore e’ bravo, ovviamente). L’influenza che la materia viva produce (in questo caso la musica) non potra’ mai essere sostituita con una sua riproduzione, per quanto perfetta. Tutto questo sembra scontato per altre arti, mentre ancora oggi ci sono persone che in ambito musicale preferiscono l’infallibilita’ della riproduzione meccanica alla performance dal vivo, dicendo che ormai il livello della musica registrata e’ talmente perfetto che ascoltare una esecuzione imperfetta diventa difficile. Personalmente ritengo insostenibile questa opinione.

Come accennato poche righe sopra, questo non avviene in altre arti come il teatro: guardando rappresentazioni teatrali ci emozioniamo, sussultiamo, ci angosciamo per i personaggi, per quello che succede loro, per la realta’ che scorre in quella situazione. Ci emozioniamo di fronte alla parola viva, agli attori che potremmo toccare con mano ( e da cui i nostri animi sono toccati), e non rinunciamo a tale rappresentazione perche' possibile portatrice di "erriri" rispetto ad una riproduzione video. Penso che questo esempio ci faccia riflettere su come la musica dal vivo, o potrei dire la musica viva, fatta da esseri umani, possa portare tracce di imperfezione che non ne sviliscono la bellezza, proprio come le nostre vite possono essere tanto meravigliose quanto imperfette.

Oltre a cio’, penso che la partecipazione ad un concerto significhi un momento di confronto sia con l’opera che viene eseguita sia con colui che la propone: significa entrare non solo in un mondo in parte imprevedibile, ma anche in contatto con qualcosa che potrei non condividere. Si potrebbe obiettare che lo stesso vale anche per le registrazioni, dato che nel momento in cui ne ascolto una che non gradisco la scarto dalla mia lista. Certo, il ragionamento e’ corretto, ma mentre in questo caso l’obiettivo e’ quello di costruirmi un universo ideale di quello che la musica dovrebbe essere secondo i miei gusti (selezionando la “giusta” incisione e scartando le altre), la dimensione pubblica mi rende cosciente di quanto l’arte tenda ad una pluralita’ di visioni e non ad un’unica esclusiva interpretazione.

La musica, come le altre arti, parla sicuramente in maniera personale ed individuale, ma questo non deve farci pensare che la fruizione privata sia l’obiettivo finale. Personalmente ho bisogno dell’ascolto privato quanto di quello collettivo. Oggi il rischio e’ quello di crearsi un universo musicale “ideale” che escluda tutto quanto non sia parte di noi. Questo atteggiamento, per quanto nasca da una passione, e’ molto pericoloso ed e’ quello che gia’ si sta verificando nella vita pubblica di noi cittadini del ventunesimo secolo: accumuliamo nozioni, opinioni, gusti tanto forti ed esclusivi quanto poi ci dimostriamo incapaci di comunicare, condividere o semplicemente ascoltare il nostro vicino. Grazie ad informazioni (ed esperienze) pre-confezionate, stiamo diventando un paese in cui ognuno e’ politico, allenatore, giudice a casa propria, salvo poi evitare il confronto pubblico dimostrando l’incapacita’ di accettare il molteplice e la realta’ della vita.

L’esecuzione dal vivo e' da considerarsi inoltre uno dei mezzi di diffusione della musica (fino a ottanta anni fa era quasi l’unico) e quindi puo’ rappresentare un modo per avvicinare le persone a questa arte. La mia societa’ ideale sarebbe quella in cui la musica, eseguita pubblicamente, creasse un interesse tale da suscitare un passione che porti all’ascolto privato, salvo poi confluire nuovamente nella condivisione di una dimensione collettiva. Una sorta di spirale che si alimenta continuamente in un moto perpetuo.

Credo che l’artista sia consapevole di tutto cio', in quanto dedica le sue energie alla promozione dell’arte e alla voglia di condividerla con chi gli sta attorno. Personalmente, ogni volta che vedo qualcuno venire ai miei concerti, penso che sia li’ per gioire ed emozionarsi grazie alla musica, in quell’ora di tempo che ha deciso di dedicare ad essa e a se’ stesso. Non importa il numero delle persone presenti : se anche una sola uscira’ consapevole che quella esperienza ha in qualche modo toccato le corde della sua interiorita’, allora il concerto avra’ avuto un senso profondo. Poiche’ sono convinto che anche solo una persona che vive questa esperienza sia sufficiente a dare un senso a tutto cio’, allora continuo a perseguire questa strada.

Posso quindi rispondere dicendo che il pubblico ha bisogno dell’artista, che le nostre vite hanno bisogno di incontrarsi e di condividere."

(Fabio Menchetti, pianista)

"Io canto perche' amo il canto, per me e' una gioia immensa. Mi piace stare nella realta' parallela che si crea sul palcoscenico in ogni diversa produzione. Cantare per me e' un godimento intimo e unico.

Tanti colleghi dicono di vivere per il pubblico. Secondo me e' sbagliato vivere la tua arte cosi': devi farlo per te stesso. La gioia, i sentimenti e le sensazioni che provi creeranno di conseguenza una connessione meravigliosa con il pubblico. Mi spiego, se hai un nipotino e sai che lui vorrebbe vederti nel fine settimana per giocare, lo accontenterai perche' ami il tuo nipotino e ami giocare con lui. Questo vuol dire che il tuo piacere nel giocare con tuo nipote e' un sentimento tuo proprio, e proprio questo fa si' che anche tuo nipote ami giocare con te. Capito?

Se ami quello che fai, lo fai per te stesso e di conseguenza anche per gli altri, altrimenti non riesci a trasmettere il tuo piacere. I sentimenti sono come i soldi, se non li hai non puoi aiutare chi non li ha, anche se tu lo volessi. Stessa cosa con i sentimenti: se non li hai non li trasmetti, e' logico. E' come l'amore: se non ami te stesso come fai ad amare gli altri? Questo l'ho risolto pensando a cio' che ci chiede Gesu': "ama il prossimo tuo come te stesso". E io dico: se uno non si ama, come fa ad amare gli altri?

Il pubblico e' importantissimo per la connessione che si crea fra artista e pubblico. Ma se fai tutto solo per il pubblico cerchi accettazione e conferma della qualita' della tua arte, se lo fai per te ami cio' che fai e non l'essere ammirato. Quello e' egocentrismo e insicurezza artistica. L'arte non cerca l'accettazione di nessuno. L'arte si gode prima te come artista ed e' solo in conseguenza di questo che anche il pubblico ti apprezza.

Il mio esempio personale piu' grande e' stato la mia Tosca al Covent Garden di Londra nel 2011. Ho avuto una grande paura fino a che non sono salito sul palcoscenico. Li' Giancarlo Monsalve e' rimasto fuori e in scena c'era Mario Cavaradossi. Mi sono dimenticato della nostra realta' e, in quel momento, il mondo era costituito solo di musica, luci e costumi. Quella era la realta' in quel momento.

Mi sono goduto tutta la recita e alla fine e' arrivata la risposta della connessione con il pubblico londinese: standing ovation e contratto per una seconda recita. Io non ci credevo: fu bellissimo, non me lo aspettavo. Ho cantato per il mio piacere e cosi' sono arrivato al cuore di tutti alla Royal Opera House di Londra.

L'artista vive per l'Arte perche' amiamo l'Arte, e quando si e' Artista l'Arte siamo Noi."

(Giancarlo Monsalve, cantante lirico)

 

"Per un musicista/concertista la figura del pubblico è fondamentale. La musica è un linguaggio: è la condivisione di un messaggio, di un'emozione, di uno stato d'animo. Necessita quindi della presenza di un fruitore, capace di ricevere il discorso sonoro e di goderne. Perchè il suono, per sua natura, ha bisogno di propagarsi e viaggiare all'interno di uno spazio, come la sala da concerto. E ha bisogno di essere ascoltato, altrimenti non avrebbe ragione di esistere."

(Francesco Grano, lo studente dell'Accademia Pianistica Internazionale Incontri Col Maestro di Imola)

 

 

"Io ho bisogno del pubblico così posso divertirmi e giocare con colleghi, orchestra e tutta la compagnia di artisti sopra un bel palcoscenico attrezzato...e facciamo pagare tutto questo al pubblico! A casa non potrei permettermi questo lusso per far ridere o piangere delle vecchie mura..."

 

(Mattia Campetti, cantante lirico)

 

"Non direi che serve il pubblico ma che il pubblico e destinatario del messaggio portato dall'opera d'arte. Se non ci fosse nessuno ad apprezzare un'opera d'arte (a sentirla, o a vederla, o a leggerla) l'opera non esisterebbe. Il fine dell'arte infatti è quello di comunicare, di trasmettere un messaggio. Ma un messaggio si trasmette da uno che lo origina (l'artista) ad uno che lo riceve (il pubblico/i fruitori). Se manca questo ultimo tassello il circolo non si chiude. Personalmente ho sempre curato molto come la mia musica venisse recepita dal pubblico. Per me si tratta di un aspetto primario dell'essere artista".

 

(Federico Favali, compositore)

 
 
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